Vademecum orario di lavoro et al. Stampa
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Domenica 22 Luglio 2012 22:44

Le direzioni di alcuni istituti del CNR in questi giorni, vittime del caldo estivo, cercano di regolamentare l’orario di lavoro di ricercatori/tecnologi introducendo alcune stravaganti regole in completa controtendenza rispetto al riconoscimento delle prerogative dell’orario dei ricercatori/tecnologi che, tenendo conto delle specificità dell’attività di ricerca, conferiscono flessibilità al ricercatore/tecnologo, a fronte di una verifica ex post dei risultati ottenuti.

Senza entrare nel merito delle specifiche questioni, purtroppo spesso avallate dai soliti sindacati preoccupati solo di difendere le proprie clientele, riportiamo un breve vademecum sulle prerogative dell’orario di lavoro di ricercatori/tecnologi che non possono essere intaccate da nessun accordo, comunicazione del direttore o circolare del CNR.

Vademecum

- L’orario di lavoro di ricercatori/tecnologi è articolato in ore e non in giornate come quello dei livelli IV-IX (art. 58 CCNL 2002).

Questo implica che ricercatori/tecnologi possono distribuire le 36 ore medie settimanali su base trimestrale nel modo che ritengono più opportuno per lo svolgimento della propria attività: possono tranquillamente non lavorare un giorno o più senza che ciò sia da contarsi come una giornata di ferie, di malattia, di recupero ma, semplicemente, una giornata che vale 0 ore nella media settimanale effettuata in un trimestre (sembra strano ma questa elementare lettura del contratto sfugge alla maggior parte delle direzioni).

 

- I ricercatori/tecnologi non hanno l’obbligo dell’utilizzo di un sistema di rilevamento automatico delle presenze neanche per l’attività in sede.

Il contratto non menziona tale obbligo che invece è esplicitamente previsto, contrattualmente, per i livelli IV-IX che hanno un orario distribuito su giornate lavorative con un numero di ore medie al giorno, ed una limitata flessibilità all’interno della settimana

L’obbligo non sussiste per i ricercatori semplicemente perché ciò non avrebbe senso visto che l’autonomia conferita nell’organizzazione del lavoro al ricercatore/tecnologo comporta un’assenza dell’obbligo di presenza quotidiana così come quello di ore lavorate quotidianamente.

Non sussistendo un obbligo se si decide di utilizzare questa modalità per motivi di praticità occorre comunque fornire al ricercatore una modalità alternativa al rilevamento automatico che, appunto, non può essere obbligatorio.

Ad ogni modo, per chi cerca un riferimento giurisprudenziale questo dovrebbe bastare: (Cassazione Sezione Lavoro n. 11025 del 12 maggio 2006, Pres. Mileo, Rel. De Matteis)” Per i dipendenti pubblici l’obbligo di adempiere alle formalità prescritte per il controllo dell’orario di lavoro deve discendere da apposita fonte normativa legale o contrattuale; la giurisprudenza amministrativa _ univoca nell’affermare l’esigenza di una fonte normativa specifica per la facoltà di sottoporre il personale dipendente al controllo delle presenze mediante orologi marcatempo o altri sistemi di registrazione”.

- Autocertificazione: l’attività che ricercatori/tecnologi svolgono fuori sede va semplicemente autocertificata mensilmente riportando il numero delle ore svolte. Trattandosi di un’autocertificazione essa non può esser soggetta ad alcuna autorizzazione ed è svolta in piena autonomia dal ricercatore/tecnologo nel quadro dell’autonoma gestione del proprio lavoro. Poiché in nessun caso essa può essere sindacata (mettere in dubbio la veridicità dell’autocertificazione, ha invece risvolti penali) essa può essere svolta in ogni luogo in cui il ricercatore /tecnologo ritenga opportuno svolgere la propria attività, compresa la propria abitazione.  Alcuni si chiedono quale sia la differenza con una missione senza assegni. Dovrebbe apparire chiaro che la missione è svolta per conto dell’istituto, è soggetta ad autorizzazione e che la missione senza assegni è solo una prassi per cui il ricercatore/tecnologo in missione accetta di non essere rimborsato per la stessa per i più diversi motivi, magari perché il rimborso è effettuato da un'altra amministrazione. In nessun caso il lavoro fuori sede deve essere correlato alll'orario di lavoro in sede, laddove quest'ultimo può essere vincolato ad esingenze pratiche di apertura della sede stessa.

- In nessun caso questioni relative a sicurezza o assicurazione possono giustificare una limitazione o una modifica della normativa in termini di orario di lavoro.

Si tratta di una considerazione banale ma spesso, sindacati e direttori, messi alle strette di fronte al CCNL, non trovano nulla di meglio che rifugiarsi dietro fumose argomentazioni che si rifanno a questioni di sicurezza o assicurative. Sulla sicurezza l’insussistenza dell’argomento è talmente palese che non vale neanche la pena discuterne : occorrerebbe una metodologia tale da registrare le entrate e le uscite in modo automatico conservandole in un luogo sicuro in modo che, in caso di evacuazione, l’addetto alla sicurezza, posto in sicurezza esternamente alla struttura, possa controllare che tutti i presenti siano anch’essi posti in sicurezza. Nessun sitema di rilevzione automatica delle presenze è in grado di mostrarsi utile in caso di evacuazione.

A questo punto perché non immaginare un sistema di microchip dei dipendenti collegato a un sistema satellitare in grado di localizzarli all’interno della struttura? Peccato che, oltre che col buon senso, questo si scontri con lo statuto dei lavoratori e con una parte della normativa sulla privacy….

Non parliamo dell’assicurazione : nessuno si è mai preso la briga di andare a leggere le clausole assicurative che non prevedono affatto una metodologia automatica per attestare l’effettiva presenza in lavoro del ricercatore/assicurato (una clausola che sarebbe stata illegittima). D’altra parte è di palese evidenza che la problematica coinvolge il lavoratore e l’assicurazione e, solo in seconda battuta, il datore di lavoro.

- I buoni pasto sono legati al lavoro ordinario (cioè quello che non è straordinario, che per altro non c’è per ricercatori/tecnologi) e non al lavoro in sede e quindi va corrisposto comunque anche per l’attività svolta fuori sede ed autocertificata (art 5 CCNL del 2002).

- La circolare 26 del 1998, che alcuni direttori e sindacalisti citano quando sono messi alle strette è superata dal successivo contratto del 2002 innanzitutto per un’ovvia questione di date, oltre che per l’altrettanto ovvia superiorità gerarchica del contratto collettivo rispetto ad una circolare del CNR.

 

 

 

 

Ultimo aggiornamento Lunedì 17 Settembre 2012 07:08