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Una débâcle dell'amministrazione anzi, qualcosa di più. PDF Stampa E-mail
Scritto da Administrator   
Domenica 21 Gennaio 2018 23:27

 

Difficile capire una risposta se non si conosce la domanda.

Ed infatti avevamo anticipato che non era possibile analizzare compiutamente il parere dell’ARAN in materia di orario di lavoro fin quando non avessimo letto il quesito posto dall’amministrazione del CNR.

Grazie alle leggi sulla trasparenza che le pubbliche amministrazioni devono osservare, abbiamo potuto visionare il documento contenente i quesiti, stranamente non allegati al parere dell’ARAN a supporto della circolare.

Siamo sbiancati: a volte la realtà supera davvero l’immaginazione.

L’ARAN ha dato torto all’amministrazione sostanzialmente rispetto a tutti i quesiti posti.

Il confronto del documento contenente i quesiti posti all’ARAN, della risposta e della circolare dell’Ente assume contorni grotteschi sui quali si potrebbe sorridere se non manifestassero l’inadeguatezza dell’Amministrazione Centrale dell’Ente a rispondere alle vere esigenze di Ricercatori e Tecnologi che operano nella rete.

La circolare “Chiarimenti applicazione art. 58 del CCNL 21/2/2002. Nota ARAN Prot. n.0007538/2017 del 11/10/2017”, giunta a mo’ di regalo di fine anno al personale dell’Ente aveva infatti paventato, “forte” del parere dell’ARAN, una interpretazione molto restrittiva delle modalità di gestione dell’orario di Lavoro di Ricercatori e Tecnologi: autorizzazioni preventive, autocertificazioni limitate, richieste di missioni per semplici attività fuori sede, insomma, il “sogno del burocrate” che non riesce a capire come si svolge la ricerca….

Già nella nostra prima analisi della circolare avevamo facilmente smontato il senso della stessa, facendo osservare come il parere dell’ARAN, per quanto fosse in contrasto con la giurisprudenza, non desse affatto ragione al CNR e come, in sostanza, le conclusioni della circolare fossero sconclusionate e prive di una qualsiasi base contrattuale e giuridica.

Confrontando la domanda e la risposta è apparso evidente come l’ARAN, non potendo in alcun modo dare ragione al richiedente, gli abbia usato la cortesia di non dargli palesemente torto, limitandosi a forme dubitative che lasciano in verità poco spazio al dubbio se confrontate con il quesito posto.

Vale la pena di ricordare che, in ogni caso, il parere dell’ARAN è di parte, visto che l'ARAN difende gli interessi datoriali nelle trattative della Pubblica Amministrazione, è come per un lavoratore chiedere un parere ad un sindacato...

Ad ogni modo, il parere dell'ARAN, per differenza rispetto al quesito, è esplicito:

  • NON occorre alcuna autorizzazione, né comunicazione preventiva dell’attività fuori sede;
  • NON è legittimo porre alcune restrizione geografica al luogo in cui si svolge l’attività fuori sede (che l’amministrazione voleva incomprensibilmente restringere al comune in cui è la sede di lavoro).

L’ARAN esprime poi perplessità sulla possibilità di effettuare l’attività fuori sede. Questa perplessità si trasforma nelle linee guida della circolare, diventando un divieto tout court, basato peraltro su argomentazioni molto deboli.

Ma c’è dell’altro. Il tono con cui il vertice amministrativo diretto dall’allora DG Di Bitetto (sic transit…) si rivolge all’ARAN nella richiesta di parere getta infatti una chiara luce sul modo in cui quadri apicali dell’Ente percepiscano i ricercatori e i tecnologi, che del CNR costituiscono il nerbo. Il quesito all'ARAN è infatti posto in "risposta" ad un comunicato dell'ANPRI del 13 febbraio 2017 che, anche utilizzando il parere legale presente sul nostro sito, interpretava correttamente il contratto in materia di attività fuori sede di ricercatori e tecnologi.

I vertici del CNR insistono nel non voler riconoscere l’autonomia dei ricercatori, anzi la contestano esplicitamente, derubricando un diritto sancito dalla costituzione a “idea di fondo”.

Purtroppo per loro però, al di là della sacralità del principio costituzionale, è proprio l’Agenzia cui richiedono il parere a confermare ciò che loro aborrono, e cioè che il ricercatore possa “decidere di assentarsi o di prestare la propria attività in un luogo diverso dalla sede di servizio, senza alcun preavviso e dichiarando ex post, mediante una semplice autocertificazione, le ore eventualmente lavorate nei diversi luoghi”.

Cogliamo dunque l’occasione per ribadire, anche supportati da quanto dice l’ARAN, ciò che per noi è da tempo ben chiaro, ovvero che:

  • l’orario dei ricercatori non si correla ad una presenza giornaliera;
  • l’autocertificazione non è né preventiva né soggetta ad autorizzazione;
  • l’attività fuori sede non può essere soggetta a limitazioni se non per ineludibili motivi organizzativi;
  • l’attività fuori sede, anche fuori dal comune dove si trova la sede di lavoro, non si configura come missione.

Insomma, una débâcle, anzi no, qualcosa di più….

 



 

Ultimo aggiornamento Giovedì 03 Ottobre 2019 14:01
 
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