Esclusione dalle procedure di stabilizzazione negli EPR Stampa
Scritto da Administrator   
Mercoledì 05 Dicembre 2018 11:22

Sono molti i precari che si sono visti escludere dalle procedure di selezione per le stabilizzazioni.

 

A seguito dell’importante sentenza 10158/18 del TAR Lazio (https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=A6SYYRSYLEREIXWEEVGHMEWL4A&q=) , abbiamo chiesto all’avvocato patrocinatore del giudizio alcuni chiarimenti sugli effetti e sulla portata della sentenza.

Se avete ulteriori domande da porre potete farlo inviando una mail Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

Avvocato Viespoli, una sentenza veramente importante quella sulle stabilizzazioni presso gli enti di ricerca che stabilisce un principio fondamentale: indipendentemente dalla terminologia utilizzata dall’ente, sono le modalità effettive di svolgimento della prestazione a far rientrare il contratto tra quelli che la legge Madia considera ai fini del requisito del triennio di anzianità necessario. Ritiene che la sentenza possa ricomprendere anche altri soggetti in posizioni simili ancorché non esattamente sovrapponibili a quella del suo assistito?

Si, è vero. La sentenza n. 10158/18 del Tar Lazio è molto importante perché elimina ogni dubbio in merito alla possibilità di considerare, ai fini della maturazione del requisito dei tre anni di anzianità previsto per accedere alle procedure di stabilizzazione, anche i periodi di lavoro maturati con contratti di lavoro flessibile diversi dal contratto a tempo determinato.

Il caso sottoposto alla attenzione del Giudice amministrativo riguardava un ricercatore con anzianità maturata sommando a periodi di contratto a tempo determinato, periodi di lavoro con assegni di ricerca, prevalentemente universitari.

A fondamento della decisone del Tar c'è l'articolo 20, del D.lgs. 75/2017, ma soprattutto la circolare del ministero della Semplificazione e la Pubblica amministrazione del 23 novembre 2017 numero 3/17. Infatti, la circolare riconosce espressamente la possibilità di considerare “utili” ai fini della anzianità maturata anche periodi di lavoro prestati con “diverse tipologie di contratto flessibile”, purchè riguardino “attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale”. Inoltre, la stessa, nel paragrafo dedicato agli enti di ricerca, specifica che «l'ampio riferimento alle varie tipologie di contratti di lavoro flessibile (…), può ricomprendere i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e anche i contratti degli assegnisti di ricerca».

La soluzione normativa, a dire del Collegio, non può che ritenersi corretta, considerata la sostanziale assimilabilità delle prestazioni rese da un ricercatore sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato e quelle rese sulla base di un contratto di assegno di ricerca, il quale “in realtà configura comunque una prestazione d’opera contrassegnata da elementi di subordinazione”.

Le argomentazioni del Tar possono sicuramente estendersi anche ad altre tipologie di contratto di lavoro flessibile, individuabili alla luce non solo di quanto specificato dalla circolare n. 3/18 citata ma, soprattutto, dalle concrete modalità di svolgimento del rapporto contrattuale.

Il CNR ha ammesso con riserva coloro che avevano periodi di assegni di ricerca con Università italiane. Crede che sia possibile considerare le Università non istituzioni di ricerca?

Assolutamente non è possibile! Ad escludere tale eventualità basterebbe già solo considerare la costante e fondamentale attività di ricerca svolta in ambito universitario.

In ogni caso, più disposizioni normative considerano le Università come Istituzioni di ricerca. Tra tante, la 30 dicembre 2010, n. 240 che detta le "Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario" , ed il d.m. 18 aprile 2008 che istituisce l'elenco degli Istituti pubblici e privati di ricerca autorizzati, in Italia, ad attivare la “convenzione di accoglienza” per ammettere ricercatori di paesi terzi ai fini della realizzazione di progetti di ricerca scientifica, in attuazione di quanto disposto dalla Direttiva 2005/71/Ce.

In questi giorni, molti ricercatori degli enti, in particolare del CNR, stanno ricevendo lettere che dispongono l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di cui al secondo comma in ragione di periodi di ricerca coperti in vario modo dall’ente (borse, assegni e varie tipologie contrattuali). Quali ritiene siano i presupposti concreti per la realizzazione del requisito richiesto dalla legge?

Come specificato in precedenza, credo che per poter considerare utili ai fini della maturazione del requisito di anzianità i periodi di lavoro prestati con contratti flessibili diversi dal ctd, è necessario guardare alle concrete modalità di svolgimento del rapporto: è necessario che il rapporto si sia svolto con modalità assimilabili a quelle di un tipico rapporto a tempo determinato.

E’ necessario pertanto valutare se il rapporto sia stato caratterizzato dalla continuità ed esclusività delle prestazioni, dall’impiego di mezzi ed attrezzature nella disponibilità del datore di lavoro, dalla natura fissa della retribuzione, oltre che dall’inserimento del lavoratore nell’organizzazione del datore di lavoro e dal suo assoggettamento al potere direttivo di questi.

Insomma, come chiaramente spiegato dal Tar, è necessario valutare se, al di là della forma contrattuale prescelta, il rapporto si sia atteggiato come un rapporto di lavoro sostanzialmente subordinato.

La sua sentenza ha fatto molto discutere in seno al CNR. Cosa consiglierebbe di fare a coloro che ritengono di essere illegittimamente stati esclusi dall’Ente?

Naturalmente consiglierei a tutti di proporre immediatamente ricorso giudiziale avverso l’esclusione, al fine di far valere i propri diritti.

La sentenza del TAR Lazio, infatti, evidenzia le criticità di un sistema perpetrato per anni in cui i ricercatori sono vessati in un meccanismo di mancati riconoscimenti che passa, oltre che per difficoltà economiche, anche per forme contrattuali fittiziamente formative ma, di fatto, di lavoro subordinato. Basti pensare, ad esempio, alle varie borse di studio, che comunque vengono spesso erogate in maniera reiterata e continuativa oppure ai contratti coperti con fondi esterni, nei quali la diversa natura della copertura finanziaria finisce con il costituire un pretestuoso discrimine per un rapporto di lavoro sostanzialmente identico.

Ultimo aggiornamento Giovedì 06 Dicembre 2018 20:05