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Scritto da Administrator   
Giovedì 07 Luglio 2016 18:04

Sebbene non così pubblicizzati come ci si sarebbe aspettato, vista la prosopopea che a livello governativo ha accompagnato questa iniziativa di reclutamento straordinario, sono stati pubblicati dal CNR i 25 bandi (368.1-25) per 82 posizioni di ricercatore (III livello) a tempo indeterminato, da destinare “prioritariamente […] all’ingresso di giovani studiosi di elevato livello scientifico, che abbiano conseguito un PhD da non più di 5 anni”.

Non deve stupire l’insolita solerzia - il decreto del MIUR è stato pubblicato in Gazzetta il 27 Maggio - con cui il CNR ha gestito l’iter per la pubblicazione dei bandi. Questa misura straordinaria ha infatti un carattere “premiale”: qualora la presa di servizio dei vincitori non avvenga entro l’anno in corso, l’ente non potrà beneficiare di una misura analoga per l’anno prossimo.

Anche se il CNR è stato in qualche modo penalizzato nella distribuzione del budget rispetto ad altri enti, si tratta indubbiamente di una notevole opportunità per immettere forze fresche in un ente che nel 2011 presentava un’età media del personale superiore ai 46 anni e il cui finanziamento ordinario è in costante riduzione. Inoltre, questo concorso sembra aprire finalmente alla possibilità di un reclutamento nella ricerca non sottoposto ai vincoli della Pubblica Amministrazione.

Tuttavia, esistono alcune, significative, criticità che rischiano di minare lo spirito (e l’esito) dell’operazione.

I bandi si presentano come i classici bandi entry-level del CNR, articolati in una valutazione dei titoli, in due prove scritte e una prova orale. Certamente, questo è reso necessario dalla normativa vigente sulle assunzioni nella Pubblica Amministrazione, ma non ci si può non chiedere come un concorso così pensato, con un bando scritto in un italiano burocratico, possa lontanamente essere di interesse per un giovane scienziato straniero, che magari abbia “ottenuto particolari riconoscimenti” o “diretto o coordinato progetti di ricerca”. Inoltre, perdura l'assenza di criteri e modalità trasparenti per la selezione delle commissioni che, come è facile capire data l’impostazione del bando, giocheranno un ruolo decisivo.

Dando quindi per assunto che – nulla di male - i “giovani studiosi di elevato livello” cui si sta aspirando sono implicitamente italiani (leggi: precari in qualche EPR o università), l’altro aspetto preoccupante è che nulla è previsto per trarre frutto da questa loro eccellenza. In mancanza di un aumento del fondo di funzionamento ordinario, il magro bilancio dell’Ente non permetterà certo a questi brillanti virgulti di intraprendere alcuna ricerca, sempre che non si possa fare con un lapis e un foglio di carta. Certo, non è nel bando che una siffatta misura deve essere prevista, ma il fatto che, ad esempio, il PNR non faccia alcun riferimento a questo aspetto è qualcosa di più di un indizio.

Ma soprattutto, ancora una volta, il reclutamento non segue un criterio di programmazione. Non deve ingannare la distribuzione dei posti su 25 aree "strategiche” – che farebbe intendere una decisione politica di indirizzo della ricerca. Infatti, il processo che ha portato alla definizione delle aree cosiddette strategiche è stato in generale assai poco condiviso, ed ha dato luogo a notevoli disomogeneità (facile l’esempio dell’area strategica “La mente umana e la sua complessità: i modelli robotici e neurali dell’apprendimento e della cognizione; dinamiche sociali e cognitive” cui idealmente contrapporre la ben più ampia “Matematica applicata” o altre aree che ricalcano i settori ERC). Infine, non si ha un’idea di come i posti siano stati distribuiti sulle aree. Certo, si potrebbe dire che non è possibile prevedere dove ci saranno gli “eccellenti”, in quali aree o discipline. Ma non è affatto chiaro perché non si siano usati in alcun modo gli esiti del processo di valutazione interna appena concluso, limitandosi magari, come è stato fatto per alcune aree, a usare criteri puramente legati alla loro popolosità.

L’ultimo aspetto di novità riguarda il fatto che i vincitori avranno il diritto di scegliere dove andare, tra le strutture abbinate alle città indicate nel bando, la cui lista sarà resa pubblica “entro il termine della procedura”. In particolare, “i vincitori saranno chiamati a scegliere […] tenuto conto delle opportunità progettuali e infrastrutturali offerte dalle strutture”. Apparentemente, anche questa misura alla “francese”, che prende spunto dalla prassi del CNRS (si veda ad esempio l'articolazione degli oltre 300 posti -sic- posti messi a bando nel 2016), pare promuovere il merito. Tuttavia, di fronte a un Ente in cui molte delle risorse progettuali sono state assegnate in modo assai poco trasparente e senza reale competizione (pensiamo ad esempio ai progetti bandiera e a quelli premiali), possiamo facilmente intravedere l’esito, se non il principio ispiratore di questo approccio: i forti – comunque essi siano diventati tali - diventeranno sempre più forti e i deboli si rassegnino a scomparire.

E’ questa la programmazione che i vertici del CNR hanno in mente? Perché, ancora una volta, non fare riferimento alcuno alla valutazione? Eppure la delibera del CdA sui criteri generali dei concorsi chiedeva di tener conto dei risultati dei panel di valutazione (pubblicati su questo sito ed ancora non pubblicati sul sito dell'Ente) oltre che della precedente distribuzione di posti. Inoltre, la delibera richiede che il numero di sedi di lavoro a disposizione sia al massimo il doppio dei posti a bando. Come si regoleranno i dipartimenti in cui il numero di città è già pari al doppio dei posti messi a disposizione ? In tal caso non potranno che indicare una sola sede di lavoro per città. Ma è davvero possibile correlare tutto questo con la valutazione dei panel e con la precedente distribuzione di posti?

Ultimo aggiornamento Domenica 08 Gennaio 2017 13:30
 
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